In questo speciale, Fabio Albertini, autore di Il nonlibro dei Tarocchi, in occasione dell’uscita del suo ultimo volume, Mano ai Tarocchi, ci guida alla scoperta delle origini e del simbolismo delle 78 carte, per aiutarci a comprendere come i Tarocchi possano offrire uno sguardo nuovo sulla realtà e sul nostro percorso personale.
A una cena, in una villa di fronte al lago, mi trovo a parlare con la padrona di casa, che non conosco. È una grande scienziata, ha studiato alla Normale di Pisa, insegna all’università. Le faccio domande, le chiedo dei suoi esprimenti, delle sue ricerche. Poi arriva il mio momento di parlare, di raccontare cosa faccio nella vita. Parlo dei Tarocchi o mi soffermo sulla mia formazione da economista? Mi espongo al rischio di critiche o lascio passare tranquilla la piacevole serata estiva, con l’odore di gelsomini che ci avvolge?
Decido di parlare dei Tarocchi.
La scienziata non si scompone, fa un sorriso e mi dice che, grazie alla sua formazione filosofica, è ben consapevole che ci sono aspetti della realtà che l’approccio scientifico non coglie, che la lente della scienza si sofferma su alcuni fenomeni e non su altri e inizia, quindi, a farmi domande.
È proprio questo l’atteggiamento con cui voglio affrontare questo articolo di confronto tra appassionati e scettici assoluti. Senza voler convincere nessuno, parliamo di queste 78 carte che tanto affascinano quanto dividono.
Facciamo un po’ di ordine. Da dove arrivano? Chi le ha create?
Le carte dei Tarocchi sono il frutto del pensiero dell’Umanesimo italiano, che tra un Masaccio e un Piero della Francesca ci ha lasciato anche 78 carte. Appaiono, infatti, come mazzo completo, nella prima metà del XV secolo, senza il nome di un autore specifico.
Cosa ancora più interessante è che per quasi trecento anni nessuno ha scritto sul significato delle carte. Cosa vuol dire la carta delle Stelle? Cosa significano il Mondo o il Matto? E il 3 di coppe o il 2 di bastoni? Carte piene di riferimenti simbolici senza nessuna spiegazione.
Per trovare un libro sui Tarocchi bisogna aspettare la fine del XVIII secolo, dopo la rivoluzione scientifica del XVII secolo e dopo il secolo dei lumi.
Sì, perché le carte sono già “un libro” e non hanno bisogno di spiegazioni. Sono pienamente coerenti con la visione di Socrate e di Platone – riscoperti appunto quando nascono le nostre carte – per i quali dal dialogo, dal confronto tra le persone, scaturisce la verità che è nascosta in ognuno di noi. Mischiamo le carte davanti a un fuoco, iniziamo un dialogo sui simboli e cominciamo ad avvicinarci alla verità.
Le carte poi sono un libro di simboli che portano all’estremo la visione dell’arte, che dal naturalismo greco-romano si è spostata verso i mosaici a fondo oro, le icone, i libri miniati, gli affreschi. Immagini senza prospettiva, perché l’arte ha la funzione di elevare lo spirito, di unire la nostra anima con quella del mondo. In questa visione la natura è la natura e la osserviamo, ma l’arte deve fare un passo in più. Deve usare simboli – dal greco συμβάλλω, «unire» – che siano trait d’union tra la nostra realtà ordinaria e quella realtà straordinaria che sembra avvolgerci senza che ce ne rendiamo conto. I simboli come canali di connessione verso un’altra dimensione. C’è chi usa il vino come viatico, c’è chi usa la poesia o la pittura. E c’è chi usa i simboli. Sembra una visione che anticipa di secoli il cubismo e tanti movimenti artistici dell’inizio del XX secolo.
A questa visione di unione, con piani più alti di noi o più interni a noi, le carte aggiungono il caso, o la Fortuna, come la chiamavano i Romani. Sì, perché le carte sono dei simboli che si possono mischiare. Prendiamo in mano le 78 carte ed estraiamo per caso messaggi che possono, o vogliono, dirci qualcosa. Il caso come forma della comunicazione del divino. D’altronde, il Vangelo stesso ci racconta che, dopo la morte di Giuda, il suo sostituto, Mattia, fu scelto estraendolo a sorte.
I Tarocchi non vogliono dirci come vivere, non vogliono spaventarci con quello che ci succederà. Eraclito, il grande filosofo greco del VI secolo a.C., diceva: «Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma accenna».
Quindi, i Tarocchi, come un’antica sacerdotessa di Apollo e con l’aiuto della dea Fortuna, ci possono indicare la direzione, possono lasciarci una traccia o una visione da interpretare tra i mille bivi della nostra vita.
Abbiamo scritto un libro sui Tarocchi con racconti, pratiche e rituali per accompagnare e aprire le persone a queste visioni.
A cura di Fabio Albertini
Mano ai Tarocchi di Fabio Albertini, Dalia Fernandez Walker
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Fabio Albertini
«Amo i tarocchi perché offrono un altro sguardo sulla realtà.» La realtà di Fabio affonda radici profonde e solide in una famiglia di principi napoletani, in una formazione economica alla …